La quarta giornata della Rome Startup Week 2019 ha portato sulla scena i grandi gruppi assieme alle oltre 60 startup selezionate per la Startup Exhibit, grande vetrina per le nuove iniziative imprenditoriali che hanno potuto così presentarsi a un pubblico di esperti, investitori, appassionati e ospiti internazionali che in questi giorni sono intervenuti. Accanto a masterclass e workshop dedicati a temi specifici (dall’apporto dell’intelligenza artificiale nel campo medico allo Usability Design, da come si è trasformato negli anni il crowdfunding a cosa significa fare venture investing), centinaia di founder hanno così affollato gli spazi del Prati Bus District e avuto la possibilità di raccontare le proprie idee innovative.
Vista la vocazione della giornata, dedicata proprio all’incontro tra startup e grandi imprese, l’evento centrale è stato l’Open Innovation Summit, corposa riunione/conferenza dedicata al rapporto tra startup, grandi organizzazioni pubbliche o private e aziende, in cui una decina di interventi hanno fatto il punto su metodologie, criticità e soluzioni per favorire la connessione tra società consolidate e giovani imprese dell’innovazione. Stefano Mainetti, professore del Politecnico di Milano e AD di Polihub, e Augusto Coppola, Managing Director di Lventure Group, hanno tenuto due lezioni introduttive rispettivamente sui numeri del mercato e sulle difficoltà, per le grandi aziende, di capire le startup. Dopo di loro, rappresentanti di imprese italiane e alcuni responsabili di processi di accelerazione e incubazione hanno raccontato il proprio lavoro per l’Open Innovation.
Polihub è il distretto per l’innovazione e per l’accelerazione delle starup del Politecnico di Milano ed è il secondo incubatore universitario europeo. Come più volte è stato detto nel corso delle giornate della Week, la sinergia e la prossimità con la ricerca portano a buone performance nel far sì che le idee diventino realtà imprenditoriali. Con un attento percorso di selezione, nel 2018 Polihub ha infatti selezionato 70 iniziative potenzialmente capaci di trovare un mercato e investimenti. “Le imprese – dice l’AD di Polihub Stefano Mainetti – collaborano con le startup e alcune addirittura innovano il proprio modello di business acquisendo startup. Lo scorso anno, nel mondo, 31,2 miliardi di dollari sono stati spesi in acquisizione di startup; in Italia la filiera sta maturando in questi anni”. Analizzando 245 grandi aziende italiane, Polihub ha rilevato che un terzo di loro adotta iniziative di Open innovation, in particolare utilizzando il valore dell’innovazione esterna per migliorare i propri servizi. “In generale le aziende non cercano startup ai primi passi, ma un po’ consolidate. Dalla ricerca emerge in ogni caso che c’è ormai una grande attenzione per le startup, ritenute una fonte di cultura innovativa: la crescita dell’interesse da parte delle grandi imprese è del +138% negli ultimi 3 anni. Le aziende, del resto, oggi hanno un bisogno vitale di ricerca e sviluppo: guardare alle startup arricchisce la linea di business, può creare progetti pilota e può internazionalizzare nuovi profili di competenza. D’altro canto le startup hanno bisogno di un mercato, di conoscere più da vicino il business appoggiandosi concretamente alle aziende già ben strutturate, di diventare scalabili. Le modalità di rapporto possono essere diversificate: a volte si tratta di mere collaborazioni, a volte si creano collaborazioni stabili, in un caso su dieci arriva all’acquisizione della startup. Visto così sembrerebbe tutto molto virtuoso, ma ci sono anche delle difficoltà: la cultura del founder è molto diversa da quella dell’imprenditore tradizionale e spesso i due mondi non dialogano agevolmente tra loro. Ci sono poi altre criticità: come si regolamenta la proprietà intellettuale nel rapporto azienda-startup? Come qualifico una startup nell’albo dei fornitori? Nelle aziende non a caso si stanno creando dei ruoli ad hoc, come il chief innovation manager, per potersi relazionare e capire la cultura delle startup, che non sono dei classici fornitori, e proprio per questo si stanno definendo dei nuovi meccanismi di collaborazione che siano differenti dalla fornitura di servizi. Il percorso tipicamente strutturato delle imprese non è ancora del tutto rodato alla relazione con le startup, ma in questi anni si sta sviluppando un percorso che sta dando risultati, anche sul fronte dell’accreditamento delle startup che deve essere effettuato con parametri di valutazione pertinenti, che non tengano conto per esempio della semplice crescita del fatturato”.
Ovviamente le prime collaborazioni con le startup sono le più complicate, perché richiedono che l’azienda abbia già maturato iniziative interne di Open Innovation e creato figure in grado di occuparsene. Inoltre, per l’equilibrio e la salute dell’ecosistema startup, devono essere evitati gli approcci predatori che vampirizzino l’iniziativa imprenditoriale innovativa. Sulla corretta comunicazione tra corporate e startup è intervenuto Augusto Coppola, Managing Director di LVenture Group, fondo di venture capital quotato in Borsa. E il più attivo d’Italia, con 13 milioni di euro di investimenti in 5 anni. “Una cosa a mio avviso molto importante – dice Coppola – è far comprendere bene alle aziende che la scelta di investire su ecosistemi startup nella Silicon Valley, in Cina o altrove all’estero avrà un peso nel determinare il futuro dell’azienda stessa: i processi di Open Innovation implicano decisioni su dove crescere e, in prospettiva, stare. Spesso mi accorgo che le grandi aziende italiane non capiscono sempre le startup early stage, perché il loro funzionamento è controintuitivo rispetto a ciò che fa funzionare un’impresa. Che, per dirla in breve, guarda alle regole del presente, mentre una startup early stage ci parla del futuro, del panorama del domani. Anche startup che poi sono diventate multinazionali all’inizio erano difficili da raccontare e spesso persino da capire: il fatto è che stavano parlando di un mondo e di un mercato che sarebbe arrivato, mentre l’azienda parla e ragiona su numeri chiari perché attuali. Le cosiddette tecniche Lean aiutano le startup a raccontare la propria idea alle aziende consolidate e le aziende più avanzate, infatti, iniziano a ragionare in termini di lean management, individuando target definiti, nicchie, capendo come il cliente usa il prodotto. Il consiglio che do alle nostre grandi imprese è di cercare a canali interpretativi per capire le startup early stage perché in Italia ci sono e aspettano di essere messe alla prova. Credo che le nostre corporate debbano guardare bene ai territori, all’Italia, alla prossimità. Senza il necessario aiuto di giovani aziende anche le grandi sono destinate all’obsolescenza e a morire: non ci sono eccezioni a questa regola. Investire su esperienze apparentemente più definite ma lontane potrebbe portare la corporate a un futuro di sradicamento o a un futuro non così chiaro. Non investire affatto in innovazione, invece, porta solo alla fine progressiva dell’impresa”.
Da una parte l’AD di un incubatore universitario e il Managing Director di un fondo di venture capital, dall’altra le grandi aziende e i soggetti che si occupano di crescita delle startup intervenuti all’Open Innovation Summit per raccontare come si stanno muovendo per creare connessioni tra loro. Rita Casalini, responsabile dell’Open Innovation per Ferrovie dello Stato, rimarca una dose di inadeguatezza delle normative, in particolare per l’ingaggio delle startup, quindi una difficoltà nel capire i giusti contratti per queste peculiari collaborazioni. Carmelo Graceffa, responsabile dell’Open Innovation per Acea, sta impostando percorsi interni con i dipendenti per far crescere la cultura aziendale rispetto all’innovazione stessa e, assieme alla dirigenza, pianificando nel dettaglio quale tipo di innovazione si desidera adottare da qui ai prossimi anni. Un doppio binario interno/esterno in cui, oltre all’automazione dei processi e alcuni percorsi di formazione dei dipendenti con la realtà virtuale, Acea sta anche lavorando assieme ad alcune startup su vari fronti, come fornire soluzioni in vista dell’applicazione delle direttive europee sul mercato energetico. Carolina Gianardi, Responsabile Costumer & Innovation Hub di Poste Italiane, ha affermato che la sua azienda non guarda in effetti molto alle startup early stage perché obiettivo di Poste – dove è attivo un Innovation Lab – non è far crescere le startup, ma collaborare con chi già si pone su un terreno di innovazione avviata, quindi collaborare con startup già operative. In ogni caso Poste Italiane ha analizzato la situazione di 470 startup, individuandone 28 interessanti per i propri servizi e avviando collaborazioni con 8 imprese innovative. In generale, in molte realtà consolidate la struttura dell’Open Innovation si rivela spesso una funzione dedicata, a parte, non integrata a tutto tondo nell’azienda: l’Open Innovation non pervade infatti tutte le funzioni aziendali e questo mostra un certo ritardo dello scenario italiano. Ci sono però, ovviamente, situazioni in cui l’innovazione è il sistema circolatorio dell’impresa. “Per noi l’innovazione è al centro di tutto”, dice Massimo Canducci, Ceo di Engineering, grande gruppo italiano che si occupa di ingegneria informatica con 11mila dipendenti e 50 sedi nel mondo. “Abbiamo 420 ricercatori e oltre 200 dipendenti che si dedicano solo all’innovazione per diramarne a tutti i livelli aziendali la cultura. Siamo infatti ben consapevoli che i ricavi di domani verranno solo dall’innovazione di oggi. Le aziende che non investono sulla materia saranno destinate a vedere erosa la loro posizione”. Per quanto riguarda le relazioni con le startup, la società Engineering usa varie forme di collaborazione: le startup possono essere coinvolte assieme ai clienti, nei progetti di ricerca, per realizzare servizi per il cliente che a sua volta le supporta economicamente nello sviluppo, “oppure le startup possono diventare partner del nostro portfolio, quindi dell’offerta del gruppo Engineering. Ci interessa molto generare un ecosistema dell’innovazione, per contaminarci e fare tutti meglio”.
Luigi Campitelli, Direttore Operativo di Open Innovation Hubs di Lazio Innova, ha come mission quella di muoversi sul territorio regionale nel quale LazioInnova oggi unisce 140 soggetti tra startup incubate e aziende associate. “Il nostro compito è collegare questi due mondi, che significa far sì che il finanziamento di iniziative innovative avvenga in un processo costante di scouting che coinvolga tutti. Le esigenze, per fortuna, sono complementari: le imprese vogliono innovazione, le startup mercato. In un anno abbiamo realizzato 10 esperienze di Open Innovation Challenge: un’impresa pone una necessità che riguarda l’innovazione, LazioInnova lancia una call per i progetti, poi ci sono una selezione e un premio, un nostro impegno a fare attività di coaching, un impegno dell’azienda nel supportare l’idea innovativa. Queste esperienze sono preziose per costruire percorsi di contaminazione”. Il Consorzio Elis – creato tre anni fa e di cui fanno parte 70 grandi imprese – vuole sfruttare le corporate per ragionare sul sistema dell’innovazione nazionale. Per farlo ha lanciato subito Open Italy, programma che intende coniugare le esigenze di evoluzione delle grandi imprese con la crescita di startup, Pmi innovative e centri di ricerca. Il primo anno sono stati messi in opera 10 progetti, lo scorso anno 15. “Solo per fare un esempio: Acea, Cisco e Indra nel 2018 hanno lavorato assieme per testare una soluzione sulla blockchain for energy da cui nato un progetto che oggi sta andando a brevetto – dice Luciano De Propris, Responsabile Open Innovation del Consorzio – Il nostro obiettivo è anche creare un momento in cui le corporate si scambino informazioni sulle best practices, capire in che modo abbiano interagito con le imprese innovative, analizzare cosa ha funzionato e cosa no. In ogni caso, bisogna ridurre il gap di relazione tra mondo startup e mondo corporate”. Digital Magics è un incubatore certificato che fornisce consulenza alle imprese e servizi di accelerazione alle startup. La sua Chief Innovation Officer, Layla Pavone, afferma che è risultato chiaro il senso dell’Open Innovation quando le 62 startup incubate e attive afferenti a Digital Magics hanno iniziato a essere operative e ad avere come ovvio obiettivo quello di fare business. “L’Open Innovation è emerso pienamente non tanto nella fase di raccolta fondi, ma in quella dell’individuazione delle aziende utili per le startup. La consulenza alle oltre 100 aziende con cui siamo in relazione è risultata quindi prodromica alle necessità delle startup: i margini per creare un sistema molto positivo per tutti ci sono, soprattutto se si è onesti e non si millanta. Noi facciamo da pontieri per iniziative meritevoli e serie”. Talent Garden è invece una grandissima community europea che mette in relazione grandi imprese e startup, e che a breve aprirà una nuova sede a Roma in zona Ostiense. “Creiamo momenti di dialogo per far conoscere la cultura strutturata di una corporate alla startup e la cultura destrutturata della startup alla corporate – spiega Alberto Luna, Senior Partner di Talent Garden – Cultura e sinergie sono le nostre parole d’ordine”.
Le conclusioni del meeting sono state affidate al Presidente di Roma Startup, Gianmarco Carnovale. Che ha parlato del ruolo della sua Associazione, promotrice della Rome Startup Week, in questo scenario non ancora compiuto ma molto dinamico. “Nell’ambito del processo di maturazione della cultura dell’innovazione nel nostro Paese, l’Associazione Roma Startup vuole alzare l’asticella: ci confrontiamo moltissimo con l’estero e abbiamo relazioni strette con i principali hub del mondo, come ha dimostrato anche la riunione Building Startup Ecosystem di ieri in cui abbiamo portato ospiti da tre continenti. Grazie alle nostre esperienze, cerchiamo di far evolvere la cultura del settore anche in Italia che tra i paesi Ocse è molto indietro rispetto a tutto ciò che tocca l’innovazione. In questi anni abbiamo capito che è molto importante far parlare tra loro gli stakeholder che si muovono su questo terreno, anche per pervenire a un vocabolario comune. Roma Startup ha non a caso creato l’Open Innovation Club, con appuntamenti riservati alle corporate associate che possono ascoltare le esperienze di altre grandi imprese, condividendo con loro strategie, buone pratiche e anche gli errori: questo tipo di incontri funzionano infinitamente meglio della formazione tradizionale. Far crescere la dimestichezza nell’intero comparto aiuta poi a sviluppare i rapporti tra aziende e startup. Non essendo un operatore commerciale, Roma Startup non sfrutta le startup per questioni di immagine, ma lavora per creare ecosistemi adeguati a farle crescere”.