Dal 2017 ad oggi le ICO hanno raccolto circa 20 miliardi di dollari nelle varie campagne promosse da start up in tutto il mondo.
Agli inizi del 2017 o anche prima era ancora piuttosto semplice attuare tali campagne di finanziamento senza violare norme di legge specifiche. Trovandosi quindi i proponenti, ossia i cedenti token, in quello status che è stato definito come l’ormai celebre “Sandbox” , il mero rispetto dei principi generali del diritto civile e penale era sufficiente a mettere loro al riparo da illeciti o violazioni di legge.
Con la maggiore diffusione di tale strumento di accumulo di denaro, i legislatori internazionali, spesso in maniera differente l’uno dall’altro, hanno dovuto porre dei paletti sia concettuali sia operativi all’utilizzo incontrollato delle ICO attraverso la promulgazione di leggi ad hoc o con l’utilizzo di norme vigenti spesso adattate.
Conoscere, per un soggetto proponente la vendita di token, i principali regolamenti sulle ICO a livello globale può di certo cambiare il destino della stessa raccolta e mettere al sicuro questi da pericolose code giudiziarie.
Intanto la prima domanda che deve trovare una risposta in caso di proposta di ICO è la seguente ed è dirimente:” È lecita in questo paese?”
In alcuni paesi in giro per il mondo questa “pratica virtuosa” è addirittura illegale e perseguita dalla legge. Tra questi possiamo annoverare la Cina il Bangladesh o alcuni paesi del Magreb dove anche l’uso di criptovaluta è malvisto se non vietato.
Cosa succede invece all’interno della nostra beneamata Unione Europea, oppure negli USA o in quei paesi dell’Asia dove le ICO sono consentite e stanno raccogliendo fior fior di milioni?
Partendo dai tratti comuni è sicuramente utile sapere che ogni tipo di raccolta prevede pratiche di identificazione del cliente acquirente dei token votate a prevenire pratiche di riciclaggio del denaro e finanziamento al terrorismo.
Tutte le normative vigenti al momento sono conformi alle politiche antiriciclaggio / Know Your Customer (AML / KYC) e ai regolamenti e licenze richieste secondo la funzione che va ad assolvere la ICO.
All’interno della UE l’European Securities and Market Authority a tal proposito ha emanato nel 2018 la V direttiva antiriciclaggio assumendo una posizione di maggior controllo nei confronti delle Ico, oltre che sostenendo esplicitamente la tesi che un ICO rappresenta un alto rischio per gli investitori e richiede alle imprese che trattano con ICO di soddisfare i requisiti normativi pertinenti tra i quali l’utilizzo di disclaimer legali che identifichino esplicitamente i rischi per gli investitori.
Attraversando l’oceano, la posizione del nord America nelle Ico appare maggiormente semplificata a livello concettuale seppur ancor più rigorosa e stringente a livello normativo.
Non si distinguono utility token da security token. In USA e Canada i token sono tutti classificati come security e pertanto sotto stretto controllo degli organi preposti alla loro valutazione . Vedasi la SEC negli USA o la CSA in Canada .
L’Europa geografica, nel mondo crypto, ha un ruolo importante a livello di sperimentazione normativa se vista però caso per caso.
Infatti esistono attualmente realtà come Malta o la Svizzera che hanno dato corso ad una normazione più dettagliata del fenomeno.
Gli Elvetici sono stati i primi ad operare una classificazione dei token in base al loro utilizzo o natura disponendo trattamenti giuridici differenti caso per caso. Su di essi vigila la FINMA con la quale qualsiasi ICO deve trovare un accordo di complementarietà.
A distanza di un anno o quasi, Malta, autoproclamatasi “smart Island” ha preso spunto da questo sistema d’oltralpe per normare e fornire garanzie di stabilità all’ecosistema crypto ed all’avvento delle ICO.
Questi due paesi, sono al momento considerati come i più avanzati sotto l’aspetto della normazione inerente questo strumento di crowdfunding.
Ed In Italia?
Il bel Paese appare ad oggi ancora un po’ in rincorsa rispetto agli altri, forse a causa di un tessuto sociale ancora prematuro. Nonostante ciò lo Stato si è dimostrato pioniere nel cercare di regolamentare fiscalmente le criptovalute. Nonostante ciò non si segnalano casistiche significative di ICO sviluppate in Italia e per le quali lo Stato stesso abbia mostrato interesse attraverso il rilascio di regolamenti ad hoc.
Guardando poi ad altre realtà mondiali, i vertici normativi risultano divisi ed in contrasto sulla normazione o la semplice permissione delle ICO.
In Cina le ICO sono attualmente vietate. Anche il maggior Exchange di criptovalute cinese è emigrato a Malta.
In Israele le ICO sono permesse e non vi sono caratterizzazioni dettagliate come in Svizzera o Malta circa il rilascio dei token. Vengono attuate distinzioni di base solamente tra security ed utility token.
Alcuni stati arabi ammettono le criptovaluta e le ICO:
Arabia Saudita, Emirati Arabi, Giordania, Iran, Libano.
Al contrario sono vietate e si rischia pesantemente il carcere in Bangladesh, Nepal e paesi dell’Africa magrebina.
Alcuni paesi le consentono a patto di sottostare a numerosi e capillari controlli di varia natura. Questi paesi sono Singapore, Giappone e Corea del sud .
In definitiva, ciò che emerge è la spiccata divergenza tra i vari paesi mondiali circa le impostazioni concettuali in relazione all’applicazione della legge nei confronti delle ICO.
Come si è visto si passa dall’incentivazione, seppur regolamentata, al bieco divieto. Tutto ciò implementa le divergenze di sviluppo tra le nazioni e spinge molte menti visionare ad emigrare alla ricerca di luoghi in cui trovare conforto e chances per i propri progetti.
Il 25 Ottobre si terrà un dibattito formativo intitolato “Le nuove frontiere del crowdfunding: le ICO”.
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