di Edmondo Amichai Herskovits
Dopo aver inserito l’argomento nel nostro primo articolo continuiamo la nostra chiacchierata sul concetto di colpa e merito che abbiamo visto essere scientificamente inattendibile, per quanto molto diffuso, almeno nella civiltà cosiddetta “occidentale”; come mai un concetto così palesemente inattendibile è così profondamente radicato e base di una serie di giudizi continuati?
Vediamo quale è stato lo scopo sociale delle religioni:
- Imporre regole di comportamento sociale meno aggressive delle pure posizioni di forza e più protettive verso la struttura sociale
- Rendere tali regole uguali per tutti e socialmente accettate
Un buon esempio di quanto dico sono i 10 comandamenti che, nonostante siano superati (soprattutto il 9°) e troppo semplicistici, hanno posto dei paletti comportamentali a coloro i quali, visto che non potevano accettarne (forse) le regole morali sottostanti, sono stati presentati come volontà divina. La loro utilità alla struttura sociale è dimostrata dal fatto che, seppure con aggiunte e manipolazioni successive, sono stati accettati da tutte le 3 grandi religioni monoteiste.
Ne consegue che le Religioni monoteiste, come conseguenza del 1° Comandamento, si sono arrogate il diritto di giudicare e condannare ogni comportamento di un fedele delle medesime, da qui, in abbinamento col cosiddetto peccato originale, nasce la base culturale del giudizio e, quindi, dei meriti e delle colpe. Mentre la Fede è un dono divino, la religione è un sottoprodotto umano e, come tale, ha bisogno di una gerarchia ed una struttura di potere per continuare ad esistere e prosperare.
Quindi, non solo meriti e colpe, ma anche maniere pratiche ed economiche per:
- Mantenere il potere nelle mani della casta sacerdotale
- Trasformare presunti “errori” (o colpe) in reddito economico a sostegno della casta sacerdotale.
Considerando la radice semantica del termine giudicare, essa risale a jus dicere, cioè a paragonare i comportamenti di qualcuno alle regole o leggi imposte dal sistema in quel momento e luogo della storia. Visto che non esiste nessun comportamento che sia stato penalizzato sempre&ovunque dalla legge, vediamo che il concetto di giustizia è soggettivo, legato a tempo e luogo e non certo oggettivo.
Queste premesse hanno, quindi, generato la tendenza al “giudizio”, basato su parametri assolutamente soggettivi e fonte di grande sofferenza sia per giudici che per giudicati, nonché disturbo alo sviluppo armonico e sereno di ogni contesto sociale.